Ferragnez e la società del consumo di beneficenza
Quando le uova di Pasqua (o i panettoni natalizi) nascondono più di quanto appaia
1 milione di multa e 1 milione di donazioni, per un totale di due milioni. I conti della serva sono presto fatti, ma il conto corrente dei Ferragnez è ben diverso da quello di una serva, così come di un qualsiasi cittadino italiano.
Secondo il Fatto Quotidiano nel 2021 e nel 2022 la Ferragni aveva venduto la propria immagine a Dolci Preziosi per un uovo di Pasqua griffato: chiede 500.000 euro il primo anno e 700.000 euro il secondo, stando a quanto sostenuto da Franco Cannillo, proprietario di Dolci Preziosi. Il meccanismo sembrerebbe essere lo stesso: c'è un accordo nel quale l'influencer vende la propria immagine, incassa quanto pattuito, mentre l'azienda fa sold-out del prodotto pubblicizzato. Nulla di sbagliato, se non fosse che la campagna è stata “adornata” con una beneficenza apparentemente legata alla vendita di quelle uova (donare una parte del ricavato a 'I bambini delle Fate', un'associazione benefica), ma che in realtà ne era completamente slegata. In poche parole quelle uova non andavano a sostenere alcun progetto parallelo, almeno non direttamente. Ma è quello che il consumatore ha sempre creduto.
Credo che il consumatore sia la peggior specie di essere umano e la sua società, la società dei consumi, sia la peggiore società nella quale dover vivere. La struttura sociale o la civiltà improntata al consumo poggia sull'acquisizione di beni superflui che frequentemente appagano esigenze suscitate dalla spinta della pubblicità e da fenomeni di emulazione sociale diffusi tra vastissime fasce della popolazione. Per questo quelle uova di Pasqua (o i panettoni che siano) vanno così tanto a ruba, soprattutto se sono adornati dall'ombra della beneficenza, considerabile come atto di consumo simbolico ed emotivo. Nella cultura odierna, molte persone cercano esperienze di beneficenza come una forma di gratificazione personale – come chi acquista il panettone griffato – o come parte della costruzione della propria immagine pubblica – come chi vende quel panettone.
La società dei consumi riesce ad influenzare la percezione della beneficenza stessa: la focalizzazione sull'aspetto emotivo e simbolico della beneficenza può far perdere di vista l'efficacia reale delle donazioni e dei beneficiari. In questo contesto, la beneficenza diventa un modo per placare la coscienza senza affrontare le radici dei problemi sociali.
Ma al consumatore e alla consumatrice questo non interessa, a loro preme soddisfare dapprima un bisogno materiale immediato e inconsapevole e dopo quello di liberare la propria frustrazione, montata dentro di loro fino alle viscere da un sistema che si basa proprio su questi meccanismi. Per liberare le frustrazioni di un'esistenza pressoché apatica ci si accanisce sulla polemica sterile. Come scrive Alive Valeria Olivieri sulle pagine di Domani “le gaffes e gli errori, del resto, sono il nostro pane quotidiano”.
I social sono come i droni, ci hanno abituato a guardare le cose da sopra e non da dentro. Un sistema sociale basato sul buonismo e sul senso di colpa produce questo: una calca agli sportelli delle polemiche e una sala d'attesa quasi deserta per capire quel sistema, per correggerlo magari. Per questo l'azienda-ferragni ne guadagna comunque, nonostante quegli “spiccioli” che usciranno dalle sue tasche per multe o scuse. Per essa il problema non è rimediare ad un errore, ma cavalcare quell'errore, trasformando una brutta vicenda in un vantaggio mediatico (e dunque economico). Ciò che interessa, in fin dei conti, non è la sentenza di una corte, né tanto meno la sentenza del grande pubblico, ma semmai quella dell'immancabile algoritmo.
Che altro credevamo?