La dittatura dell'adesso
Quando la frenesia del presente ci allontana dalla nostra autenticità e da un futuro desiderabile
Dove ti trovi in questo momento?
Attendi un istante e chiedi a te stesso/a: come mi sento ad immaginare la mia quotidianità? Qual è lo stato d’animo che provo? Mi sento soddisfatto/a? Sto seguendo i miei veri desideri? Oppure mi sento come il criceto in gabbia a far girare sempre la solita ruota? Quante volte ho pensato di cambiare vita eppure mi trovo ancora qui?
Il mondo ci appare sempre più assurdo e contraddittorio, eppure il cambiamento sembra un miraggio lontano. Non solo i grandi eventi come le guerre, il potere, la crisi climatica. Ma anche le piccole cose di tutti i giorni. Cosa ci incatena all'inerzia, impedendoci di cambiare davvero? La risposta a questa domanda, forse, si annida in meccanismi di difesa che abbiamo interiorizzato, in una sorta di anestesia emotiva che ci impedisce di reagire all'assurdità del mondo.
Stiamo aspettando qualcosa? Ma per andare dove, esattamente? Iniziamo a spiegare, in termini semplici, che cos’è una pulsione.
La pulsione, in termini psicologici, rappresenta una forza intrinseca che guida l'individuo verso il soddisfacimento di bisogni fondamentali, siano essi fisici o mentali. Si colloca all'incrocio tra il corpo e la mente, agendo come un'energia che si accumula e che poi cerca una scarica. L’energia è la parola-chiave. Questa forza costituisce il motore della dinamica psichica, influenzando il modo in cui gli individui interagiscono con il mondo esterno e con se stessi. Per dirla con le parole di Alexander Lowen "l'impulso stesso è un movimento di energia dal centro dell'organismo alla superficie, dove influenza il rapporto tra organismo e mondo esterno" (Lowen, 1958, p. 64).
È come se quell'ENERGIA SOFFOCATA nei corpi avesse bisogno di uno sfogo imponente, che alla fine si riversò nella POTENZA distruttrice dei nazionalismi del Novecento.
Nel primo Novecento, gli individui coinvolti nei nazionalismi si presentavano come repressi e costretti, partecipando a esplosioni collettive e acclamazioni di leader capaci di risvegliare forze latenti e soffocate (la fame, la malattia, la miseria) senza tuttavia affrontare in modo risolutivo le questioni fondamentali della loro esistenza. È come se quell'energia soffocata nei corpi avesse bisogno di uno sfogo imponente, che alla fine si riversò nella potenza distruttrice dei nazionalismi del Novecento. In quell'epoca, le persone trovarono nella delega alle dittature una modalità per combinare la repressione della libido con la liberazione delle pulsioni: le masse, anelanti al cambiamento, si esprimevano in manifestazioni ferventi, senza però assumersi la responsabilità, in prima persona, dei processi trasformativi della realtà. Tutto era delegato al dittatore di turno, osannato anche se toglieva loro il pane e la libertà. Un paradosso.
Oggi viviamo in un altro paradosso, molto simile al precedente, ma di più “liberal”: siamo passati da un sistema novecentesco autoritario con un uomo in carne ed ossa al comando, ad un sistema di mercato - anch’esso autoritario anche se in forme diverse - che tutto controlla e tutto avvolge. Deleghiamo ogni aspetto della nostra vita al mercato. La società attuale ci spinge a vivere ad una tale velocità e immediatezza da costringerci a guardare costantemente al presente, per programmare e progettare un futuro. Ma quale futuro?
Sentono che questo è negativo, sentono una qualche forma di MALESSERE, eppure loro, l'uomo e la donna contemporanei, non sembrano desiderare un CAMBIAMENTO.
L'individuo è spinto a un'iperattività nel presente, all'interno di un recinto che stabilisce quello che è giusto fare, ma senza una direzione chiara e senza tenere conto delle proprie inclinazioni e dei propri desideri originari. L'uomo e la donna sono schiacciati tra la promessa di realizzazione personale e l'obbligo di adattarsi a un sistema che spesso nega la loro autenticità. Sentono che questo è negativo, sentono una qualche forma di malessere, eppure loro, l'uomo e la donna contemporanei, non sembrano desiderare un cambiamento: sembrano piuttosto vivere in una forma placida di equilibrio. Come se le pulsioni fossero silenti e tenute tranquillamente a bada.
Oggi è necessario interrogarsi proprio su questo: su come l'uomo e la donna contemporanei abbiano elaborato un equilibrio, muovendosi tra il desiderio, l'espressione delle pulsioni e l'aspirazione al cambiamento. Christopher Bollas, psicoanalista statunitense, propone l'ipotesi di un compromesso, realizzato attraverso la formazione di personalità normotiche. Tali individui, pur essendo profondamente infelici, trovano rifugio in un'esistenza che si è adattata, un'esistenza apparentemente normale. Secondo Bollas, questi fenomeni non si discostano molto da ciò che viene definita alessitimia: l'incapacità di dare voce alle emozioni.
Avvertire la forza del DESIDERIO e le sue sensazioni espone inevitabilmente al rischio dello smarrimento e in una società così veloce, PERDERSI È PERICOLOSO.
Come scrive Antonella Messina “oggi il clima sociale ed economico è mutato: al dovere della rinuncia (tipico del secolo scorso) è sopraggiunto il dovere del desiderare”. E lo si fa ad una velocità tale da essere sfiniti da questo dovere, incapaci di esprimere la propria vera vitalità. Ne sono la dimostrazione i tantissimi casi di depressione e suicidio, soprattutto tra le nuove generazioni. Passiamo da un desiderio ad un altro, in un continuo usa-e-getta tipico del consumo: finiamo per consumare tutto ciò che è vitale, tutto ciò che è sè. Non perseguiamo il nostro vero desiderio originario, ma uno dei tanti desideri che la società ci invita a perseguire. Non a caso questa non solo è la società del consumo ma, come la definisco io, è anche la società della superficialità.
L'individuo contemporaneo sembra aver accettato un compromesso consistente nell'adesione al principio collettivo della prestazione. Avvertire la forza del desiderio genuino e originario (quello del sè genuino) e le sue sensazioni espone inevitabilmente al rischio dello smarrimento e in una società così veloce, perdersi è pericoloso. Per questo motivo, diventa preferibile separarsi da tali sensazioni, escluderle; meglio ancora, trasformarsi in una macchina efficiente e priva di emozioni, così da non rischiare di perdersi. Il dovere di desiderare significa desiderare tutto e niente, in una continua lotta di indecisioni, tentennamenti, blocchi. Oggi desidero una cosa, domani un’altra e così via: l’importante è stare al passo della velocità che spreme l’individuo.
Viviamo in una società che reprime le emozioni ed esalta la produttività, la performance, la crescita economica. Di conseguenza, l'alassatemia non è solo individuale, ma anche sociale.
In Fear of Life, Lowen afferma che "proteggersi dal dolore del rifiuto e della perdita, gli individui possono chiudere i loro cuori all'amore, rinunciando alla possibilità di esperienze profonde e significative". Questa rinuncia non solo impoverisce la vita emotiva, ma priva l'individuo della capacità di connettersi autenticamente con gli altri e con se stesso. Continuare ad evitare e dimenticare il dolore conduce a un'esistenza caratterizzata dalla superficialità, dove l'efficienza sostituisce la vitalità e la sicurezza prevale sulla spontaneità. In tale contesto, la paura di vivere diventa una barriera all'autenticità, perpetuando un ciclo di alienazione e insoddisfazione che è sia personale che collettivo.
Il sistema attuale si nutre di questo ciclo perverso: da una parte la società continuerà ad esigere sempre più velocità, così le persone dovranno anestetizzare le proprie sensazioni; dall’altra, gli individui continueranno a comportarsi in modo tale da nutrire il sistema attuale.
Diventa sempre più difficile immaginare un futuro diverso, quando siamo intrappolati in un presente che ci spinge a replicare sempre lo stesso schema. È necessario tornare al corpo, ritornare a sentirlo, anche nella sofferenza. Scrive Bollas nelle ultime battute del libro sui Tre caratteri: “la cura, per così dire, consiste nell’aiutare questa persona ad ascoltare se stessa”. Ascoltarsi, sentire le proprie emozioni e avvertire i propri desideri originari significa uscire dall’anestesia del corpo e della mente. Solo allora, una volta consapevoli, le nostre azioni andranno sempre meno a foraggiare il sistema che ci tiene nella trappola della alessitimia, senza più il dovere di desiderare ciò che non si desidera, senza la necessità di consumare oltre il necessario, senza anteporre sé stessi agli altri. Per ambire, finalmente, ad un’umanità differente in una società nuova.
Se sei arrivato/a fin qui ti ringrazio e voglio invitarti a soffermarti qui per pochissimi istanti. Rifletti sui motivi che ti spingono a compiere tutte le tue azioni ogni giorno. Agisci per inerzia o con piena consapevolezza? Le tue azioni rispecchiano il tuo io più autentico? Rallentare è una concquista, che coraggiosamente dobbiamo ottenere.
Fonti e riferimenti:
Lowen, A. (1958). Il linguaggio del corpo. Astrolabio
L’intervento di C. Bollas è riportato dalla dott.ssa Antonella Messina su https://www.analisi-reichiana.it
Lowen, A. (1980) Paura di Vivere. Astrolabio
Bollas, C. (2022). Tre caratteri. Raffaello Cortina