Poverty Porn: la povertà vista da qui
Immagini strazianti di bambini malnutriti e sporchi, pieni di insetti, in braccio a madri sofferenti, in luoghi vistosamente malsani, polverosi, caldi, irrespirabili. Questa è la punta dell'iceberg.
Al mondo, quasi il 13% della popolazione mondiale vive con meno di 1,90 dollari al giorno, cioè circa 900 milioni di persone e di queste, quasi la metà vive nell'Africa sub-sahariana. Perciò abbiamo coltivato, all'interno della nostra cultura occidentale, l'idea che povero=africano=nero e viceversa.
Da qui nasce il Poverty Porn, uno sguardo morboso (eccessivo) sulla dimensione della povertà e del dolore.
“Un bambino che soffre la fame ha bisogno di te” recita uno spot di qualche anno fa.
Le immagini strazianti di bambini malnutriti e sporchi, solitamente circondati da insetti, spesso in braccio a madri sofferenti, in un luogo vistosamente malsano, polveroso, caldo, irrespirabile.
Di fronte a quel bambino malato e a quella madre disperata c'è una macchina da presa, ci sono delle luci cinematografiche, c'è un microfono direzionale, c'è una troupe. Spesso una troupe composta da uomini e donne occidentali, bianchi.
Il concetto della "dimensione salvifica dell'uomo bianco che aiuta gli altri" è stato oggetto di dibattito e riflessione in diversi contesti. Tuttavia, è importante esaminarlo con una prospettiva critica e consapevole delle implicazioni etiche e socio-culturali.
Innanzitutto, è fondamentale riconoscere che l'aiuto altruistico non dovrebbe essere limitato o condizionato dal colore della pelle. L'idea che solo l'uomo bianco sia in grado di portare salvezza agli altri può riflettere un atteggiamento paternalistico e paternalista, che non tiene conto delle capacità, delle conoscenze e delle risorse delle comunità locali.
Inoltre, la tendenza a "trincerarsi dentro i nostri confini" e a mantenere una "gabbia sicura" può essere interpretata come una forma di privilegio e segregazione, che perpetua disuguaglianze e discriminazioni. Questo atteggiamento riflette una paura del diverso e dell'ignoto, che può alimentare pregiudizi e razzismo.
Il poverty porn, in fondo, è una costola del razzismo, ma non ce ne accorgiamo.
La televisione ci ha abituati a vedere solo cosa c'è davanti alla cinepresa. Ed è reale, profondamente reale. Ma parziale. Da quest'altro lato della telecamera ci sono persone che stanno filmando un momento tremendo, il loro mestiere è quello di portare a casa un video ben fatto, montarlo, sistemarlo e presentarlo per il grande pubblico occidentale, quello che si trova oltre-mare, il destinatario di quel messaggio. L'intento è quello di fargli aprire il portafoglio e donare qualche euro per una giusta causa.
Mi domando, però: c'è un altro modo per fare tutto questo? C'è un modo per evitare di riprendere morbosamente il dolore di quel bambino e di sua madre, è possibile empatizzare con la sofferenza senza per forza filmare un bambino quasi morente per farci provare compassione?
Mi sono sempre detto che fino a quando penseremo di lavarci la coscienza donando pochi euro, non sconfiggeremo mai la povertà.
Non è sbagliato chiedere fondi, non sto dicendo questo, ma ci sono modi etici e meno etici per farlo.
Ho voluto fare due chiacchiere con Roberto Valussi della Rivista Nigrizia, che da anni si occupa di questioni africane e, quindi, anche di povertà. Ecco il podcast qui di seguito. Lo puoi ascoltare sia qui che su spotify.